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Macron o la catastrofe africana

  • Autore: Bambini nel Deserto
  • Written: 02/18/2024

Di Jean-Pierre Olivier de Sardan Antropologo

Scegliendo, in risposta ai colpi di stato, di punire le popolazioni del Sahel – in particolare tagliando drasticamente ogni aiuto umanitario e allo sviluppo – il Presidente Macron prende di mira il bersaglio sbagliato e fa il gioco dei militari al potere in Mali, Burkina Faso e Niger. Aggiunge così al risentimento verso la Francia nell’opinione pubblica africana e perpetua una politica diplomatica disastrosa. Una delle ragioni più frequentemente avanzate (ed è del resto molto plausibile) della decisione molto sorprendente di Macky Sall di posticipare le elezioni presidenziali in Senegal è il basso punteggio previsto per il suo candidato (e primo ministro in carica) Amadou Ba.

Forse la Francia ha avuto la sua parte, un altro errore! L’accoglienza plateale a Parigi, lo scorso dicembre, del primo ministro senegalese da parte di Elisabeth Borne va infatti addebitata alle numerose gaffe controproducenti che caratterizzano la politica africana di Emmanuel Macron. Mostrare il sostegno della Francia a un candidato alla presidenza in un paese africano è probabilmente il modo migliore per far crollare immediatamente la sua popolarità. Lionel Zinsou ne sa qualcosa: la sua vicinanza a Macron lo ha screditato durante le elezioni presidenziali in Benin nel 2016.

Ma c’è di più. È l’intera politica africana di Emmanuel Macron che è incoerente e calamitosa. Uno dei suoi più recenti e gravi fallimenti è senza dubbio stato quello di aver deciso di “punire” gli autori dei colpi di stato in Mali, Burkina Faso e Niger “punendo” i popoli di questi paesi. Questa posizione ricorda quella di De Gaulle nei confronti della Guinea quando, sotto l’impulso di Sékou Touré, rispose prevalentemente “no” al referendum del 1958 sull’adesione alla “Comunità francese” e scelse l’indipendenza immediata. Furioso e offeso da questa sconfitta, De Gaulle mise immediatamente fine alla presenza francese in Guinea, causando una crisi economica brutale, spingendo il paese tra le braccia dell’URSS e contribuendo così all’ascesa della lunga dittatura paranoica di Sékou Touré. Questa decisione dannosa fu in gran parte responsabile della popolarità di quest’ultimo tra le opinioni pubbliche africane.

Inoltre, il carattere personale e puramente emotivo della reazione di De Gaulle appare retrospettivamente ancora più vano e controproducente, considerando che la famosa “comunità” fu un completo fallimento che durò non più di due anni, periodo dopo il quale tutti i paesi africani che avevano risposto “sì” scelsero a loro volta l’indipendenza, accettata ora senza fiatare dalla Francia. Tutto questo per questo! E ora Macron sta ripetendo lo stesso errore! Se sembra tentato ogni giorno di adottare sempre di più una posizione gaullista, per quanto riguarda l’Africa segue De Gaulle in una delle peggiori decisioni che questi abbia mai preso: la strategia della terra bruciata per dispetto.

Tagliando ogni aiuto umanitario o allo sviluppo, ogni forma di cooperazione o partenariato per i tre paesi del Sahel, sia per le ONG nazionali che internazionali che per i servizi pubblici, la ricerca e la cultura; chiudendo i tre consolati francesi e rifiutando il rilascio di visti ai cittadini di questi paesi; rendendo di fatto impossibile ai dottorandi, artisti, ricercatori o operatori economici del Mali, del Burkina Faso e del Niger recarsi in Francia per studi, conferenze, mostre, concerti o affari; e, ieri, ciliegina sulla torta amarissima, chiudendo la scuola francese di Niamey (il corso Lafontaine, di cui metà degli studenti erano nigerini), il Presidente francese non solo prende di mira il bersaglio sbagliato penalizzando direttamente le popolazioni del Sahel, ma inoltre gioca contro il proprio campo perché fa il gioco dei militari al potere che prendono di mira la Francia come obiettivo principale e attirano sempre più a sé le loro opinioni pubbliche ad ogni misura brutale della Francia come ad ogni arrogante dichiarazione del suo presidente.

Tutti questi errori sono ancora più inopportuni in quanto, da molto tempo, diffidenza, risentimento e senso di umiliazione sono sentimenti ampiamente diffusi nei confronti dell’ex colonizzatore (per molte ragioni legittime mescolate ad alcune più discutibili).

Macron gioca anche contro il proprio campo ipotecando, con le sue parole e le sue decisioni, il futuro a breve e medio termine di qualsiasi presenza culturale, di sviluppo o umanitaria francese nel Sahel, e i suoi errori politici contribuiranno al declino prevedibile della lingua francese che i militari al potere hanno senza dubbio nel loro programma. Fornisce una conferma in oro alle affermazioni di tutti coloro, numerosi nel Sahel e in Africa, che denunciano la persistenza dei comportamenti coloniali o neocoloniali delle autorità francesi, la loro ipocrisia e il loro scarso interesse reale per le popolazioni. Distrugge il prezioso e fragile capitale di fiducia che (a volte? spesso?) poteva essere stato gradualmente costruito nel corso degli anni tra da una parte i professionisti dell’Agence française de développement, i professionisti dei centri culturali francesi o i professionisti delle ONG francesi e dall’altra i loro partner maliani, burkinabé o nigerini.

Tutte le caselle di ciò che non si doveva fare sono state spuntate

Il susseguirsi di errori di Emmanuel Macron rispetto all’Africa in generale e alla crisi saheliana in particolare è impressionante. Per due o tre dichiarazioni incoraggianti da mettere nella colonna “positiva” (un accenno al colonialismo come crimine contro l’umanità, la decisione di restituire le opere d’arte rubate, la creazione di commissioni memoriali sulla guerra d’Algeria, il ruolo poco glorioso della Francia in Ruanda e la repressione contro l’UPC in Camerun), la colonna “negativa” è più che piena fino all’orlo: battuta da scolaretto pubblica e vergognosa nei confronti del Presidente Kaboré a Ouagadougou, convocazione imperiale e arrogante dei capi di Stato africani a Pau, ingiunzione insultante ai medesimi di non partecipare al cosiddetto “vertice Francia-Africa” a Montpellier, accettazione relativa del primo colpo di stato (il più importante) di Assimi Goïta in Mali prima di fare una svolta a 180 gradi di fronte a un mezzo colpo di stato dello stesso colonnello poco dopo (il licenziamento di ministri ritenuti vicini alla Francia è stato considerato inaccettabile da quest’ultima), tolleranza e assenza di sanzioni per gli autori dei colpi di stato in Ciad, Guinea e Gabon pur denunciando ad alta voce i loro omologhi in Mali, Burkina Faso e Niger, sostegno altrettanto rumoroso quanto inopportuno alle forti sanzioni della CEDEAO contro Mali e Niger che non ha fatto altro che rafforzare le accuse dei militari secondo cui la CEDEAO sarebbe manovrata dalla Francia (cosa che del resto non è vera, almeno per quanto riguarda la Nigeria, potenza dominante della CEDEAO), sostegno ancora più rumoroso e ancora più inopportuno alle minacce di intervento militare della CEDEAO contro il Niger (che sono state pane per i regimi al potere nel Sahel, consentendo loro di mobilitare le loro popolazioni contro una possibile aggressione della Francia), rifiuto di qualsiasi utilizzo diplomatico e di qualsiasi buon senso che il suo ambasciatore in Niger dichiarato persona non grata lasci il paese obbligandolo a rimanere barricato nella sua ambasciata sotto gli insulti popolari…

Certamente, nessuno nell’entourage del presidente lo ha messo in guardia? Ciò che sembra certo, in ogni caso, è che non ha ascoltato nessuno in materia, tranne i suoi cortigiani. Il poco credibile consiglio presidenziale sull’Africa è assente da molto tempo. Le ONG (pur essendo a volte celebrate dall’Eliseo) naturalmente hanno protestato pubblicamente, ma Giove non se ne preoccupa affatto quando è arrabbiato. Tra gli addetti dell’AFD, i quadri francesi delle organizzazioni internazionali, i diplomatici professionisti, la stragrande maggioranza deplora (è un eufemismo) questa valanga di gravi errori. Vincolati dal loro dovere di riservatezza, non hanno potuto esprimersi pubblicamente. Ma in ogni caso non è mai stata richiesta la loro competenza. Non è consuetudine del presidente abbassarsi ad ascoltare gli esperti vicini al terreno.

In questa improbabile successione di dichiarazioni e decisioni assurde e dannose, non si può neanche leggere una qualsiasi politica coerente: tutto sembra rientrare in vendette e capricci giupiteriani (sappiamo che gli dei dell’Olimpo cambiavano il corso della storia degli uomini per semplici gelosie, capricci o dispute d’ego). Ma l’uso della punizione collettiva dei popoli del Sahel è ancora più grave. Come osare promuovere un’immagine della Francia che sarebbe terra di libertà, uguaglianza e fraternità o che desidererebbe stabilire un partenariato equo con i paesi africani quando si prende di mira, per semplice rancore o dispetto, le popolazioni povere beneficiarie dell’aiuto francese, decine di migliaia di posti di lavoro generati dalle ONG finanziate dalla Francia, migliaia di intellettuali che venivano regolarmente o eccezionalmente in Francia per scambi, formazioni e partnership, agli studenti delle istituzioni educative francesi a Bamako, Ouagadougou o Niamey?

La strategia attuale della terra bruciata nel Sahel è quindi catastrofica su tre livelli: da un lato sono le popolazioni locali le prime vittime, dall’altro dà carne al macinino della francofobia dei regimi militari, e infine compromette gravemente le future relazioni tra la Francia e i tre paesi saheliani.

Jean-Pierre Olivier de Sardan Antropologo, ricercatore emerito presso il CNRS e direttore di studi presso l’EHESS