Attendere…

Il ritorno di Godwin, migrante per l’eternità

  • Autore: Mauro Armanino
  • Written: 01/21/2024

Ieri non c’era nessuno per la sua sepoltura. Solo la terra, silenziosa e accogliente come un grembo materno, l’ha preso e custodito. Lui era arrivato a un certo punto dell’anno scorso sostenendo di essere liberiano di nazionalità. O meglio, liberiano oppure nigeriano secondo le prospettive, le circostanze e soprattutto le opportunità offerte dal destino. Sosteneva anche di non essere in possesso di alcun documento di identità o di viaggio.
L’unica cosa certa, ben visibile, era un tumore che si era installato sulla parte sinistra del suo volto che gli diminuiva la facoltà di parlare e di vedere correttamente. La croce rossa nigerina prima e il servizio pastorale dei migranti poi, hanno accompagnato gli sforzi dei servizi medici locali per lenire il dolore e tentare un’improbabile guarigione. Fin dal suo arrivo a Niamey sosteneva di chiamarsi Steven e di essere portatore di una duplice ed effimera nazionalità. Col passare dei giorni e la vicinanza di alcuni migranti liberiani, ha esibito un passaporto nel quale emergevano dettagli imprevedibili del suo percorso migratorio. Confezionato ad Addis Abeba in Etiopia, con un timbro dell’arrivo a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, l’altro ad Abidjan nella Costa d’Avorio. Mancava quello dell’ingresso nel Niger dove era arrivato perché gli avevano detto che a Niamey ci si prende cura dei migranti.
Ed è così che Steven, si è trasformato successivamente in Godwin, il nome scritto sul passaporto che attestava la sua nazionalità nigeriana. Godwin, Dio vince, era il nome chi si portava addosso come il gonfiore 10/10 sul volto che non accennava a diminuire finché cominciò la chemioterapia nell’ospedale di
oncologia di Niamey. Passavano i mesi, la terapia e le la cura di medicine con scarsi risultati perché il corpo sembrava stanco del tanto camminare nel mondo.
Godwin si è spento l’altro giorno, un giovedì sera verso le 19 e, con celerità si è fatto il possibile perché egli abbia una degna sepoltura nel cimitero cristiano della capitale. Un breve soggiorno all’obitorio del cimitero musulmano e poi, dopo la pulizia del corpo, Godwin è stato adagiato in un feretro di legno leggero e arricchito da una croce scolpita nella parte superiore della cassa. Il trasporto sul retro di una pick up fino al cimitero e poi l’ingresso per l’ultima migrazione, la più impegnativa di tutte, dopo una breve preghiera di commiato e la benedizione della tomba. Il feretro è stato deposto nella nuda terra e poi ricoperto di sabbia. Un paio di amici che l’hanno accompagnato in questi mesi e soprattutto lei, la terra che nel silenzio materno l’ha preso in sé.
Accanto alla tomba non c’era nessun membro dell’ambasciata della Nigeria e dell’associazione dei nigeriani di Niamey, malgrado fossero informati del decesso. Godwin, il Dio che vince, era morto abbandonato da tutti. Solo il grembo della terra si è riaperto e l’ha custodito, per l’eternità.